9
” Non montarti la testa “, qualcuno lasciò scritto
sulla mia parete.
Io non conosco
né la mano né la grafia
di chi mi scrisse quella frase
in cucina. Non lo avevo neppure invitato.
Entrò dal tetto.
A chi rispondere
allora? Al vento.
Ascoltami, vento.
Da molti anni ormai
i vanitosi
mi sbattono in faccia
le loro proprie e vuote vanità,
è così, indicano la porta
che apro di notte, il libro
a cui lavoro,
il letto
che mi accoglie,
la casa che costruisco,
è così, è così,maligni
mi indicano con le loro dita
intricate,
dita di rampicanti,
e quanto adorano se stessi
me lo sbattono in faccia,
quel che sono mi designano,
quel che occultano mi abbaiano.
Forse
sono vanitoso,
sono anche vanitoso.
Non della mia poesia, mi sembra.
Vediamo, proviamo a riflettere.
Tutta la vita ha scorso nel mio corpo
proprio come un sangue
che decifro
sulla carta, a volte
ho da fare, mi chiamano
e non vado,
devo scrivere righe
che non leggo,
devo cantare per qualcuno
che neppure conoscerò mai.
E vero che ricevo
lettere che mi parlano;
la tua parola
mi restituì l’amore,
mi dette la vita,
mi raggiunse nelle prigioni,
ed io penso
che questo sangue
che scorre, invisibile sangue
che contengo
vive in altre vene
fin da ora.
Ma appena
uscì da me
scordai la mia poesia.
Non percepisco
grave
vanità nel mio oblio
né nel mio ritrovamento,
nemmeno
nelle mie scarpe
nelle mie vecchie
scarpe sformate
per i miei piedi vagabondi,
ogni cinque anni
mi faccio un vestito nuovo,
le mie cravatte
marcite
non si lagnano
di nulla,
ora
se nel momento
di pericolo
per il mio popolo
cerco la bandiera,
salgo
sui campanili
dimenticando
l’onda
ricamata di spuma,
dimenticando
il fiore
sul sentiero
non ho fatto
niente più di nessuno,
forse meno di tutti.
Pablo Neruda
9
” No te envanezcas “, alguien dejò escrito
en mi pared.
Yo no conozco
la letra ni la mano
del que inscribiò la frase
en la cocina. No lo invitè tampoco.
Entrò por el tejado.
A quièn entonces
contestar? Al viento.
Escùchame , viento.
Desde hace muchos años
los vanidosos
me echan en cara
sus proprias y vacìas vanidades,
ese es, muestran la puerta
que abro de noche, el libro
que trabajo,
el lecho
que me acoge,
la casa que construyo,
ese es, ese es, malignos
me muestran con sus dedos
enredados,
dedos de enredaderas,
y cuanto ellos se adoran
me lo tiran en cara,
lo que son me designan,
lo que ocultan me ladran.
Tal vez
soy vanidoso,
tambièn soy vanidoso.
No de mi poesìa, me parece.
A ver, examinemos.
Toda la vida circulò en mi cuerpo
como una sangre propria
que descifro
en el papel, a veces
tengo que hacer, me llaman
y no acudo,
debo escribir renglones
que no leo,
debo cantar para alguien
que ni siquiera
conocerè algùn dìa.
Es verdad que recibo
cartas que me dicen;
tu palabra
me devolviò el amor,
me dio la vida,
me encontrò en las prisiones,
y yo pienso
que esta circulatoria
sangre, invisible sangre
que contengo
en otras venas vive
desde ahora.
Pero apenas
saliò de mì
olvidè mi poesìa.
No encuentro
grave
vanidad en mi olvido
ni en mi hallazgo,
tampoco
en mis zapatos
en mis viejos
zapatos deformados
por mis pies vagabundos,
cada cinco años
me hago un nuevo traje,
mis corbatas
marchitas
no se jactan
de nada,
ahora
si en el momento
de peligro
para mi pueblo
busco la bandera,
subo
a los campanarios
olvidando
la ola
bordada con espuma,
olvidando
la flor
en el camino
no hice
màs que ninguno,
tal vez menos que todos.
Pablo Neruda